La difesa del reddito degli agricoltori, la semplificazione burocratica, il ripristino dei dazi per l’import di riso dai paesi Eba, il prezzo del latte alla stalla e più recentemente la nuova Pac, l’impiego delle risorse del Pnrr, l’allarme inflazione e l’impennata dei costi delle materie prime.
Sono alcune delle tematiche affrontate in questi otto anni di presidenza di Cia-Agricoltori Italiani Lombardia. Anni intensi, complessi, caratterizzati da profondi cambiamenti del tessuto sociale, economico, agricolo e delle stesse associazioni sindacali di categoria.
Anni attraversati da varie crisi economiche, fra cui quella scatenata dalla pandemia Covid, in cui il settore primario ha saputo comunque reggere, senza mai fermarsi, garantendo anche nel periodo di massima emergenza la continuità delle forniture e la presenza dei prodotti agroalimentari sugli scaffali dei supermercati.
Ora il dramma di una guerra nel cuore dell’Europa che aggrava l’impennata inflativa già in corso e preannuncia una nuova grave emergenza da affrontare.
Ripercorrendo i due mandati trascorsi che oggi, 8 marzo (con l’elezione da parte del Congresso del nuovo presidente regionale di Cia Lombardia), volgono al termine, ricordo che la prima criticità affrontata è stata quella relativa proprio al settore in cui opero, quello del riso.
Il 17 luglio 2014, aderendo alla mobilitazione indetta dalle cooperative di agricoltori e dai consorzi operanti nel settore, contro l’importazione selvaggia di riso a dazio zero dai paesi Eba, organizzammo un’iniziativa presso la mia Cascina, a Robbio di Lomellina.
In quell’occasione, alla presenza degli organi di stampa, l’allora assessore all’agricoltura lombardo Gianni Fava, incontrò i rappresentanti degli enti coinvolti nella protesta (Consorzio Vendita Risone, Associazione Risicoltori Piemontesi, Cooperativa S. Gaudenzio, Consorzio Interprovinciale Risicoltori, Servizio Vendita Risone, Consorzio Varietà da Mercato interno), le rappresentanze sindacali di Agrinsieme, Cia, Confagricoltura della Lombardia e del Piemonte e le Cia Provinciali di Vercelli, Novara, Pavia, Mantova e Milano, i delegati dell’Airi – Associazione industrie risiere italiane, oltre a rappresentanti di Riso Gallo e Curtiriso.
Fu l’inizio di una battaglia in difesa dei produttori risicoli italiani ed europei, fortemente minacciati dall’import a dazio zero dai Paesi meno avanzati, che si sostanziava nelle richiesta all’Europa di ripristino della clausola di salvaguardia.
La concessione fatta nel 2008 dall’Unione Europea ai paesi meno avanzati aveva causato serie ripercussioni ai risicoltori italiani e di tutto il Vecchio Continente. Il flusso enorme di riso a dazio zero, prima di tutto dalla Cambogia, entrando in Europa a prezzi troppo bassi, aveva creato infatti una sorta di concorrenza sleale.
Cia aveva anche sottolineato che a beneficiare di tali agevolazioni non erano nemmeno direttamente i contadini di questi paesi, ma solo le industrie di trasformazione, a capitale straniero.
Criticità peraltro confermata successivamente dalla società Development Solution nel rapporto fatto il 27 settembre 2017 alla Commissione Europea, in cui erano state denunciate violazioni dei diritti umani in Cambogia nell’accaparramento delle terre e nell’esportazione di riso, proprio perché la concessione daziaria dell’Ue andava a beneficio dei traders e non degli agricoltori locali.
La battaglia è stata portata avanti per molto tempo, fino ad ottenere nel 2018 il ripristino dei dazi, che hanno migliorato il funzionamento del mercato per gli operatori del settore.
Una nuova mobilitazione ci ha visti impegnati a fianco di Confagricoltura Lombardia nel febbraio 2015 in quel di Brescia.
Al centro dell’iniziativa, che ha coinvolto quasi 3mila persone confluite in corteo in Piazza della Vittori, le incertezze sul piano normativo, il ritardo nell’attuazione della nuova Pac e nell’avvio della nuova Programmazione Rurale, gli onerosi adempimenti burocratici e fiscali gravanti sulle aziende, le norme di carattere ambientale e sanitario spesso applicate in maniera punitiva, la continua sottrazione di terreni agricoli ai fini della realizzazione delle cosiddette “Grandi Opere” e l’impossibilità di fissare un prezzo di riferimento per il latte alla stalla che garantisse un’adeguata remunerazione agli allevatori.
Quest’ultima problematica, che allora veniva affrontata alla vigilia della fine del regime europeo delle quote latte, si è ripetuta ciclicamente nel corso degli anni. Cia Lombardia ha sempre partecipato a tutti i tavoli tecnici convocati sul tema operando costantemente per garantire una corretta remunerazione agli allevatori e un’equa distribuzione di valore fra tutti gli attori della catena alimentare.
Nel novembre dello stesso anno Cia Lombardia ha partecipato ad altre mobilitazioni in difesa del prezzo del latte, tenutesi a Cortelona (PV) presso lo stabilimento Lactalis e a Milano presso la sede di Assolatte.
Ma il 2015 è stato anche l’anno di Expo Milano. Manifestazione che ha visto Cia Lombardia impegnata in prima in prima linea con presidi periodici e a supporto degli eventi realizzati da Cia nazionale nell’ambito dell’esposizione stessa.
L’Expo ha avuto un ruolo determinante nella promozione del cibo e dell’italian style. Il settore primario lombardo ha anzitutto bisogno di esportare e questa manifestazione ha indubbiamente favorito e assecondato la vocazione all’export del comparto agroalimentare.
Uno degli annosi problemi del settore primario (ma non solo), ovvero la crescita esponenziale degli oneri burocratici, è stata invece al centro di un’altra manifestazione a cui Cia Lombardia ha preso parte il 5 maggio 2016 a Bologna.
Si è trattato di un’iniziativa nazionale nella quale Cia ha chiesto alle istituzioni di fermare il “mostro” burocratico che genera più di quattro miliardi di costi all’anno per tutto il settore agricolo, richiede cento giornate lavoro di un impiegato amministrativo per produrre quaranta chili di documenti per gli adempimenti di ciascuna azienda.
Nonostante diversi interventi da parte degli organi preposti, a tutt’oggi il problema burocrazia è lungi dall’essere risolto. Cia Lombardia più volte e in varie sedi è tornata sulla questione, ritenendo che lo snellimento di un elefantiaco sistema burocratico spesso fine a se stesso sia determinante per far ripartire il settore primario e l’economia di tutto il Paese.
Altro fronte su cui si è concentrato l’impegno di Cia Lombardia è stato quello dei danni sempre più ingenti che la fauna selvatica provoca all’agricoltura, tanto da aver organizzato un convegno sul tema a Milano nel novembre 2017 ed aver denunciato in diverse sedi istituzionali, l’estrema criticità della situazione.
Ma già nel 2016, in un documento presentato alla commissione agricoltura di Regione Lombardia e discusso anche in successivi incontri, Cia Lombardia chiedeva alle istituzioni un concreto impegno per ridurre le specie dannose e impedire loro di arrecare gravi danni al settore primario e all’ambiente, visto l’impatto insostenibile raggiunto dalla fauna selvatica sull’agricoltura.
In particolare veniva sottolineato come la presenza eccessiva, soprattutto di ungulati, stesse rendendo impossibile in molte aree l’attività agricola con crescenti fenomeni di abbandono ed effetti negativi sulla tenuta idrogeologica dei territori. Peraltro in Lombardia le specie che creano problemi non sono quelle autoctone, ma quelle aliene introdotte artificialmente dall’uomo nei territori.
A livello nazionale Cia ha anche formulato una proposta di modifica della legge 157/92 sulla gestione della fauna selvatica che la nostra confederazione lombarda ha poi presentato in Regione. Si tratta di una riforma che conta su alcuni punti chiave sostituire il concetto di “protezione” con quello di “corretta gestione”, parlando finalmente di “carichi sostenibili” di specie animali nei diversi territori; non delegare all’attività venatoria le azioni di controllo della fauna selvatica, ma prevedere la possibilità di istituire personale ausiliario; rafforzare l’autotutela degli agricoltori e garantire il risarcimento integrale dei danni subiti.
Ancor oggi, anche alla luce dell’emergere in alcune regione della peste suina, è urgente la necessità di giungere a una nuova normativa sul tema più moderna ed efficace. Gli ungulati in circolazione sono troppi e cresciuti negli ultimi anni in maniera esponenziale. La sola caccia non basta a contenere il cinghiale e le altre specie dannose all’agricoltura.
Occorrono misure di controllo e contenimento efficienti che proteggano le attività agricole e riducano a zero i danni cagionati alle stesse. E’ necessario che venga riconosciuto il principio secondo cui non debba essere l’attività agricola a doversi adattare alle nuove specie di fauna selvatica, ma siano eventualmente queste ad essere opportunamente contenute e controllate.
Un nuovo convegno ci ha visti protagonisti nell’ottobre 2018 a CremonaFiere. Tema dell’evento, che ha coinvolto agricoltori, ricercatori, professori universitari, rappresentanti di Urbim e dell’autorità di bacino del Po’, con anche la partecipazione dell’allora Ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio, le risorse idriche e le nuove strategie per gestirle e fronteggiare le emergenze.
Nell’occasione abbiamo sottolineato come i cambiamenti climatici in atto e i loro effetti richiedono di adottare nuove strategie di governo, di accumulo e di ammodernamento della rete idrica esistente e varare interventi che diano una risposta alle emergenze. Una gestione oculata delle risorse idriche (necessaria per evitare crisi nei periodi di necessità) non può prescindere da una visione d’insieme che coinvolga tutti gli attori del sistema, a partire dagli agricoltori. L’agricoltura d’altronde è particolarmente esposta agli effetti dei cambiamenti climatici e subisce conseguenze estremamente negative dal fenomeno.
Abbiamo anche ricordato, come l’agricoltura usa l’acqua, ma non la consuma. E in particolare le risaie, grazie al riutilizzo per più volte della medesima e alla progressiva restituzione della stessa ai fiumi, rappresentano un esempio virtuoso di impiego della risorsa idrica.
Il vero problema in Italia è la dispersione idrica con reti obsolete che andrebbero ammodernate e adeguate alla situazione attuale e la necessità di creare nuovi ed efficienti bacini di invaso e accumulo.
A tal proposito diverse sono state anche le nostre istanze sul tema portate nel corso degli anni all’attenzione delle istituzioni preposte.
Sempre a CremonaFiere siamo stati protagonisti anche l’anno successivo (2019) con un altro convegno dedicato alla filiera del latte e la nuova Pac.
Il latte italiano ed i prodotti da esso derivati presentano standard di qualità elevati rispetto ai competitors stranieri.
Trasparenza e severi controlli sulla produzione e sulla trasformazione ci assegnano infatti un primato mondiale in termini di sicurezza per i consumatori, ma proprio per questo, a causa degli alti costi di produzione, le nostre aziende spesso risentono della concorrenza estera. Una concorrenza a volte sleale se si pensa al fenomeno dell’italian sounding, fatto di prodotti taroccati che utilizzano impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni che richiamano all’Italia, ma che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale.
Abbiamo quindi evidenziato come il settore abbia bisogno di regole lungimiranti e condivise, orientate verso un reddito congruo per chi produce, equamente distribuito lungo tutti i livelli della filiera. Anche perché il quadro di riferimento del mercato deve essere quello globale e non chiuso nelle logiche dei confini nazionali. In tal senso una nota positiva è stata data dal Ceta, l’accordo commerciale di libero scambio tra Ue e Canada che tutela e favorisce l’esportazione di vari prodotti certificati made in Italy, tra cui diversi del comparto lattiero caseario.
Infine abbiamo ribadito la necessità che i premi Pac destinati al settore fossero accessibili e non prevedessero regole inutilmente discriminatorie per gli allevatori italiani.
Preme sottolineare che le azioni e le iniziative svolte a livello regionale in tutti questi anni si sono svolte in autonomia, ma nello stesso tempo in coordinamento con Cia nazionale.
Ne è dimostrazione il convegno realizzato il 17 febbraio 2020 a Milano, presso l’Università degli Studi (facoltà di agraria) incentrato sulle sfide economiche e ambientali dell’agricoltura padana.
L’iniziativa si è inserita ne “Il Paese che Vogliamo”, progetto realizzato a livello nazionale da Cia, che punta l’attenzione sulle azioni ritenute non più rinviabili per ll’Italia: dagli interventi di manutenzione delle infrastrutture alle politiche di governo del territorio, dalla prevenzione dei disastri ambientali al mantenimento della biodiversità, dallo sviluppo di filiere a vocazione territoriale a nuovi sistemi di gestione della fauna selvatica e alla coesione istituzioni-enti locali per il rilancio delle aree interne in Europa. Temi in cui l’agricoltura può ricoprire un ruolo da protagonista.
L’evento ha coinvolto le Cia regionali del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige) e ha visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni e professori universitari.
Nel corso dei lavori abbiamo lanciato un messaggio preciso: sostenibilità e rispetto dell’ambiente sono sacrosanti e strategici, ma senza ideologie e forzature. È ora che venga riconosciuto il ruolo fondamentale che gli agricoltori italiani ricoprono ogni giorno nella tutela del territorio e nella prevenzione dei sempre più frequenti episodi di dissesto idrogeologico. Attraverso la coltivazione dei terreni che aiuta a stabilizzare i versanti e a trattenere le sponde dei fiumi, il settore primario funge da presidio contro gli effetti degli eventi climatici estremi e svolge una funzione determinante nella salvaguardia del paesaggio e delle sue risorse.
Si è trattato dell’ultimo evento realizzato in presenza prima dell’avvento della pandemia, che di lì a pochi giorni ci avrebbe completamente investito.
L’emergenza epidemiologica ha messo a dura prova la tenuta sociale ed economica del Paese. L’agricoltura, pur avendo, con impegno e responsabilità, lavorato, senza mai fermarsi, per garantire cibo sano e di qualità per tutti, non è uscita indenne dallo shock causato dalle restrizioni per contenere la diffusione del virus.
C’è da dire che la crisi non ha comunque colpito tutti i comparti allo stesso modo. Alcuni hanno resistito, altri come l’agriturismo, il florovivaismo e alcuni segmenti del vitivinicolo hanno sofferto particolarmente.
Ecco perché abbiamo sottolineato in più sedi che la nuova Pac non può non tener conto dell’insegnamento che viene dalla pandemia. Ovvero la necessità di una maggior flessibilità. Occorre una capacità di intervento dinamica e flessibile che vada a sussidiare quei settori particolarmente colpiti dalla pandemia, di solito scarsamente considerati dalla Politica agricola comune.
In relazione alla nuova Pac abbiamo poi evidenziato nelle varie sedi istituzionali l’esigenza di coniugare la vocazione ambientale alle esigenze produttive degli agricoltori.
Questo per evitare il rischio di una crisi produttiva e alimentare come anche paventato da una ricerca Usda (U.S. Department of Agricolture).
Il Piano Strategico Nazionale ha al momento attenuato gli effetti della nuova Pac. L’agricoltura classica, come anche il riso hanno evitato il quasi azzeramento del sostegno.
Abbiamo quindi accolto con favore la proposta contenuta nel plico inviato a Bruxelles dal ministro Patuanelli. Si tratta di un tentativo per continuare a sostenere, seppur solo in parte, i comparti dell’agricoltura più tradizionale (latte, carne, cereali e riso, vino). Questi sono i settori del “core business” lombardo. Core business che ha contribuito in modo sostanziale a foraggiare un importante flusso di esportazione vitale anche nel periodo pandemico.
Investire sulle eccellenze regionali per incentivare l’export agroalimentare è strategico e può fungere da volano alla ripresa economica.
Oltre alle regole della nuova Pac, le preoccupazioni maggiori per l’immediato futuro riguardano l’aumento del debito pubblico, che partiva da dati negativi già prima del Covid ed era sorvegliato speciale da parte di Bruxelles, e l’impennata inflattiva.
Eravamo abituati a un’inflazione trascurabile da parecchi anni, ora assistiamo ad aumenti del 300-400% sulle materie prime (oltre che sull’energia) e non sappiamo dove andremo a finire, anche alla luce della guerra in Ucraina che ci trascina in uno dei periodi più cupi del terzo millennio e pone tutto il sistema agricolo italiano a rischio default.
Anche per questi motivi, riguardo al Pnrr è fondamentale una progettualità mirata e precisa. Potrà infatti essere determinante per risolvere criticità ataviche come ad esempio la ristrutturazione di infrastrutture irrigue risalenti anche al 1400.
In conclusione possiamo dire che tutte le azioni svolte in questi anni sono state finalizzate al miglioramento e alla valorizzazione del settore primario, oltre che alla tutela delle condizioni dei suoi addetti.
Lo abbiamo fatto partecipando assiduamente ai vari tavoli tecnici e istituzionali di Regione Lombardia e Province con un atteggiamento sempre aperto e collaborativo; rapportandoci costantemente con gli assessori regionali all’agricoltura (prima Gianni Fava e poi Fabio Rolfi) succedutisi nel corso di questi anni; presenziando attivamente agli incontri organizzati da altri organismi di riferimento, come ad esempio UnionCamere Lombardia, a cui abbiamo dato il nostro contributo (assieme ad altre associazioni di categoria) alla realizzazione delle indagini congiunturali periodiche di settore.
Abbiamo fornito servizi che non riguardano solo l’agricoltura (come quelli dei nostri Centri di assistenza agricola) ma anche rivolti a cittadini e aziende, come quelli del Patronato Inac, che assiste i cittadini nei loro bisogni previdenziali e assistenziali, o quelli offerti dal Caf che elabora nelle varie sedi provinciali migliaia di dichiarazioni dei redditi, Isee e fiscalità varia.
Da qui si deduce il valore fondamentale di associazioni di categoria come la nostra costantemente impegnate nel promuovere la tutela e lo sviluppo della figura dell’imprenditore agricolo e della sua impresa, la salvaguardia del reddito degli agricoltori, l’affermazione del settore primario nel sistema economico lombardo, italiano ed europeo, la competitività delle imprese sui mercati e l’affermazione nella società della cultura della terra intesa come bene di tutti, limitato e non riproducibile.
L’agricoltura, nelle varie crisi economiche che si sono succedute negli anni, compresa quella determinata dalla pandemia Covid-19, ha dimostrato di saper resistere ed essere strategica.
E’ quindi prioritario che il sistema agroalimentare venga messo con più decisione al centro dell’agenda politica. Se opportunamente sostenuto, può costituire infatti il volano di una sicura e duratura ripresa economica per l’intero sistema nazionale. Più agricoltura per nutrire il mondo, più reddito agli agricoltori sono fondamentali per costruire una società del futuro con più benessere, pace e democrazia.
Giovanni Daghetta
Presidente Cia-Agricoltori italiani Lombardia
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