Il presidente di Cia-Agricoltori Lombardia, Giovanni Daghetta, assieme alla Vicepresidente Lorena Miele e al Direttore Paola Santeramo, ha portato oggi all’Assessore all’Agricoltura di Regione Lombardia Fabio Rolfi e al Presidente Regionale della Commissione Agricoltura Ruggero Invernizzi, la proposta per la modifica della legge 157/92 sulla gestione della fauna selvatica.
L’iniziativa fa seguito a quella di Cia nazionale, che nelle scorse settimane ha presentato il documento per la riforma radicale di una normativa ritenuta obsoleta in Camera e Senato, oltre che al ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio.
Sette i punti chiave elaborati da Cia per risolvere l’emergenza ungulati, che troppi danni ha causato all’agricoltura italiana.
1. Sostituire il concetto di “”protezione” con quello di “”gestione” – Secondo Cia, la finalità di fondo, indicata già nel titolo della legge, deve essere modificata passando dal principio di protezione a quello di gestione della fauna selvatica. Se la legge del 1992 si focalizzava sulla conservazione della fauna, in quegli anni a rischio di estinzione per molte specie caratteristiche dei nostri territori, oggi la situazione si è ribaltata, con alcune specie in sovrannumero o addirittura infestanti. L’esempio più lampante riguarda i cinghiali, responsabili dell’80% dei danni all’agricoltura: si è passati da una popolazione di 50 mila capi in Italia nel 1980, ai 900 mila nel 2010 fino ad arrivare a quasi 2 milioni nel 2019. E’ del tutto evidente, quindi, che bisogna tornare a carichi sostenibili delle specie animali, in equilibrio tra loro e compatibili con le caratteristiche ambientali, ma anche produttive e turistiche, dei diversi territori.
2. Ricostituire il Comitato tecnico faunistico venatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – L’attuale legge divide le competenze in diversi ministeri; occorre riportare alcune competenze di fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e, di fatto, ricostituire il Comitato tecnico faunistico e venatorio, partecipato dal Mipaaft e dal Ministero dell’Ambiente, dalle Regioni, dalle organizzazioni interessate e da istituzioni scientifiche come l’Ispra.
3. Distinguere le attività di gestione della fauna selvatica da quelle dell’attività venatoria – E’ necessario intervenire nella governance dei territori, garantendo l’effettiva partecipazione del mondo agricolo a tutela delle proprie attività. Le procedure di programmazione faunistica e delle attività venatorie devono essere semplificate e armonizzate con le Direttive europee e, allo stesso tempo, vanno ridisegnati e ridefiniti i compiti degli Ambiti territoriali di gestione faunistica e venatoria (al posto degli Ambiti territoriali di caccia).
4. Le attività di controllo della fauna selvatica non possono essere delegate all’attività venatoria – Per Cia, piuttosto, deve essere prevista o rafforzata la possibilità di istituire personale ausiliario, adeguatamente preparato e munito di licenza di caccia, per essere impiegato dalle autorità competenti in convenzione, mettendo in campo anche strumenti di emergenza e di pronto intervento.
5. Deve essere rafforzata l’autotutela degli agricoltori – Sui propri terreni, i produttori devono poter essere autorizzati ad agire in autotutela, con metodi ecologici, interventi preventivi o anche mediante abbattimento.
6. Risarcimento totale del danno – La crescita dell’incidenza dei danni da fauna selvatica è esponenziale. Ad oggi, i danni diretti al settore agricolo accertati dalle Regioni corrispondono a 50-60 milioni di euro l’anno. Secondo Cia, gli agricoltori hanno diritto al risarcimento integrale della perdita subita a causa di animali di proprietà dello Stato, comprensivo dei danni diretti e indiretti alle attività imprenditoriali. Bisogna superare la logica del “de minimis”; mentre criteri, procedure e tempi devono essere omogeni sul territorio, con la gestione affidata alle Regioni.
7. Tracciabilità della filiera venatoria – Ai fini della sicurezza e della salute pubblica, occorre assicurare un efficace controllo e un’adeguata tracciabilità della filiera venatoria, partendo dalla presenza di centri di raccolta, sosta e lavorazione della selvaggina, idonei e autorizzati, in tutte le aree di caccia.
Cia Lombardia negli ultimi anni è stata particolarmente impegnata sul fronte dei danni che la fauna selvatica provoca all’agricoltura, tanto da aver organizzato un convegno sul tema nel novembre 2017 ed aver denunciato in diverse sedi istituzionali, l’estrema criticità della situazione.
In un documento presentato in Regione nel 2016 e discusso anche in successivi incontri, Cia Lombardia chiedeva alle istituzioni un concreto impegno per ridurre le specie dannose e impedire loro di arrecare gravi danni al settore primario e all’ambiente, visto l’impatto insostenibile raggiunto dalla fauna selvatica sull’agricoltura.
Ora, presentando a Rolfi e Invernizzi la proposta di riforma della 157/92, Cia Lombardia, torna a ripuntare i riflettori sul tema.
“La presenza eccessiva, soprattutto di ungulati, sta rendendo impossibile in molte aree l’attività agricola con crescenti fenomeni di abbandono ed effetti negativi sulla tenuta idrogeologica dei territori. Peraltro in Lombardia le specie che creano problemi non sono quelle autoctone, ma quelle aliene introdotte artificialmente dall’uomo nei territori”, ha dichiarato il Presidente Regionale Giovanni Daghetta.
Per questo sollecitiamo le istituzioni ad agire tempestivamente, utilizzando il nostro progetto di riforma come base di discussione, per arrivare a una nuova normativa sul tema più moderna ed efficace. La sola caccia non basta a contenere il cinghiale, occorrono misure di controllo e contenimento efficienti che proteggano le attività agricole e riducano a zero i danni cagionate alle stesse”, ha concluso Daghetta. “E’ necessario che venga riconosciuto il principio secondo cui non debba essere l’attività agricola a doversi adattare alle nuove specie di fauna selvatica, ma siano eventualmente queste ad essere opportunamente contenute e controllate”.
L’Assessore Rolfi da parte sua, dichiarando di essere d’accordo con i principi espressi dalla proposta di legge Cia, si è impegnato a rilanciarla a livello nazionale. Nello stesso tempo ha ricordato i recenti provvedimenti regionali volti al contenimento delle specie dannose, come la Dgr n. 200 dell’11 giugno 2018 che consente ai proprietari d fondi (che siano anche cacciatori in possesso di porto d’armi) di presentare domanda per il controllo del cinghiale. “Una misura”, ha specificato l’Assessore, “che sarebbe opportuno estendere anche ad altri animali”. Peraltro l’attuale legge regionale in materia n. 26 del 1993 prevede all’articolo 42 comma 5 la possibilità da parte delle strutture provinciali di attuare piani di abbattimento della fauna selvatica anche attraverso guardie forestali e selecontrollori. La norma si è tuttavia rivelata di difficile attuazione per quanto concerne i selecontrollori, anche per pronunce contrarie della Corte Costituzionale su leggi di altre Regioni.
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