Con il Decreto sull’enoturismo firmato dal Mipaaft nei giorni scorsi viene regolamentata l’attività di accoglienza, divulgazione e degustazione delle aziende vitivinicole, proponendo particolari percorsi esperienziali e turistici ed incentivando il mercato dei viaggi, delle vacanze e del turismo.
Un provvedimento positivo, commenta Cia Lombardia, che tuttavia necessita ancora di alcuni chiarimenti per quanto concerne gli aspetti fiscali.
L’articolo 1, comma 2 del decreto stabilisce infatti che tale attività, se svolta da un imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 c.c., assume natura di attività agricola connessa, ossia di quelle attività che si riassumono in due grandi aree: di produzione di beni e di fornitura di servizi.
Secondo l’ufficio fiscale della Cia emergono perplessità circa la collocazione dell’attività di enoturismo in una di queste due aree, al punto che, al momento, si ritiene che, se opportunamente distinte, parte delle operazioni attinenti l’azienda enoturistica possano essere collocate nell’ambito della produzione di beni e la restante parte in quella di fornitura di servizi.
Un basilare chiarimento sulla problematica dovrà pervenire dal Ministero dello sviluppo economico e dall’Agenzia delle Entrate. A seconda che l’attività di enoturismo sia ascritta a produzione di beni, prestazione di servizi o ad entrambe, diverso sarà il trattamento fiscale ad essa applicabile.
L’art. 32 del TUIR prevede infatti che rientrano nel reddito agrario anche le attività agricole connesse di produzione di beni rientranti in un apposito elenco emesso con cadenza biennale di Mipaaft e Mef. In tali prodotti sono compresi sia quelli ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali sia quelli acquistati da terzi a condizione che non siano prevalenti rispetto ai propri.
In riferimento al requisito della prevalenza le circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 44/E del 2002 e n.44/E del 2004 hanno chiarito in generale che lo stesso può essere misurato in termini di quantità o di valore: il primo criterio di verifica può essere utilizzato in caso di beni omogenei (ad esempio produzione di mele proprie e acquisto di mele da terzi), il secondo criterio è invece utilizzabile in caso di valutazione della sussistenza del requisito della prevalenza su prodotti non omogenei.
Alla luce di tutto questo se, almeno in parte, l’attività di enoturismo dovesse essere qualificata come attività connessa di produzione di beni, il relativo corrispettivo verrebbe, in via generale, attratto a tassazione su base catastale (tranne per le società commerciali).
Al contrario, nel caso in cui l’attività di enoturismo fosse considerata come attività di prestazione di servizi, la stessa dovrebbe essere svolta utilizzando prevalentemente attrezzature o risorse normalmente utilizzate nell’attività agricola principale. Tale attività di fornitura di servizi, anche se annoverata tra le attività agricole connesse, per la sua natura si intende produttiva di reddito d’impresa e tassata in modo forfettario ai sensi dell’articolo 56-bis, comma 3 del TUIR.
Il decreto sull’enoturismo specifica poi che nell’esercizio dell’enoturismo rientrano anche la somministrazione finalizzata alla degustazione di determinati prodotti specificamente definiti all’articolo 2, comma 2. Il provvedimento prevede che l’attività di degustazione non deve essere svolta in forma di somministrazione assistita tipica delle attività di ristorazione, ma deve essere svolta nella forma e nelle modalità della somministrazione non assistita, verosimilmente con l’applicazione di quelle linee guida già fornite in tema di “Street food”.
L’ufficio fiscale della Cia analizza infine i profili giuslavoristici legati all’attività di enoturismo, spiegando che il personale dipendente andrebbe collocato nell’ambito del contratto collettivo di lavoro dell’agricoltura. Tuttavia, precisa la Cia, data la specificità della materia, è sempre necessaria una puntuale valutazione delle diverse casistiche.
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